ROMA (MF-NW)--L'emendamento al ddl Capitali approvato in Commissione al Senato prevede l'innalzamento da 8 a 16 miliardi degli attivi delle banche popolari del limite oltre il quale queste debbono trasformarsi in spa, come prescritto dalla cosiddetta riforma del 2015. Si tratta di un aumento logico a otto anni, una volta sposata l'impostazione di quella riforma la quale, in sostanza, ha purtroppo stabilito che l'approccio cooperativistico e mutualistico non possa sussistere più a particolari livelli dell'attivo degli istituti e che, di conseguenza, si imponga il modello della società per azioni: una tesi e una deduzione, tuttavia, prive di un solido fondamento. E ciò a prescindere dal modo in cui quella riforma fu introdotta ricorrendo al decreto-legge (un caso singolare nella storia delle riforme bancarie), senza neppure un coinvolgimento almeno solo informativo della categoria, e preponendo da, da parte del Governo, a seguire la realizzazione della revisione personaggi che certamente non potevano vantare un'adeguata conoscenza del sistema bancario.

Impensabile tornare ora indietro. Forse aggiustamenti ulteriori per l'ordinamento delle Popolari sotto la soglia sarebbero opportuni, magari cominciando, appunto, dall'innalzamento del livello approvato ed esaminando i diritti dei soci nonchè la formazione della governance. Bisogna evitare autolimitazioni operative per non correre il rischio di superare la soglia e doversi trasformare. In ogni caso, la revisione in questione si affianca alle innovazioni e alle rivisitazioni adottate a livello europeo e nazionale nel passato decennio che hanno prodotto conseguenze non positive, a cominciare dall'introduzione del bail-in con quel che ha significato.

Per tornare alle Popolari, ci si deve chiedere se , dal punto di vista della regolamentazione europea e italiana, nonché della supervisione, effettivamente si tenga al mantenimento della biodiversità -che comprende anche le Bcc- nel settore bancario o se si tratti di mere dichiarazioni di facciata, perchè, se non si trattasse di quest'ultima eventualità, allora bisognerebbe essere coerenti con le politiche concrete e con le normative di settore.

Oggi esiste un'area di istituti che possono ancora essere e definirsi banche popolari, accanto agli altri istituti, ex banche popolari trasformate in spa che , per le loro tradizioni, il loro ruolo e la professionalità degli addetti, occupano una posizione di primo piano nel complessivo settore bancario, una posizione che comunque - sia chiaro - molto probabilmente avrebbero mantenuto anche nella veste di Popolari. Pensiamo a Bper, Banco Bpm, alla stessa Sondrio. Ciò è dimostrato se si esaminano gli anni precedenti la crisi finanziaria e le vicende Tercas e delle note quattro banche, a cominciare dalla Popolare dell'Etruria, che non fu possibile salvare per la gravissima forzatura operata dalla Commissione Ue con il ritenere il Fondo interbancario di tutela dei depositi un organismo dello Stato: una tesi duramente sconfitta in primo e secondo grado dalla Corte di giustizia europea. A suo tempo, si era parlato di una rete di banche popolari la quale avrebbe dovuto far capo, per un coordinamento da definire, a una Popolare centrale, rafforzando così il settore e andando oltre le associazioni di categoria. Poi dell'idea non si è più parlato. Avrebbe oggi una sua attualità? In ogni caso il ddl Capitali, di cui fa parte la norma sulle banche in questione, prevede anche una delega al Governo per un'ampia revisione del Testo unico della finanza (Tuf) del 1998.

Vi sono norme direttamente precettive, come quelle in materia societaria, e le norme di delega al Governo per la suddetta revisione. Le une e le altre (le norme delegate) entreranno in vigore nel 2025. Appare chiaro che vi potrebbe essere un rischio di collisione o di necessità di modifica di norme del primo tipo confliggenti con quelle della riforma del Tuf. Per di più, ci si opporrebbe, almeno in Commissione, alla istituzione di un comitato di esperti che contribuisca in sede tecnica alla predetta riforma, come accadde con ottimi risultati per la rivisitazione del 1998, allorché operò un autorevole comitato presieduto dall'allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi. E' sperabile che nell'aula questo orientamento sia rivisto e nella delega possano inserirsi anche punti miranti al rafforzamento del ruolo delle Popolari. Bisognerà poi affrontare puresei problematiche specifiche che riguardano gli altri istituti cooperativistici e mutualistici per eccellenza, le Bcc, anche essi riformati, in questo caso con il coinvolgimento della categoria, tuttavia con una normativa finale che per alcuni aspetti lascia a desiderare.

Ma soprattutto confliggono con la natura di queste banche e i principi di ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza e sussidiarietà gli indirizzi europei, in particolare della supervisione, che vorrebbero applicare alle Bcc istituti less significant, in quanto partecipanti a gruppi bancari cooperativi, gli stessi criteri e gli stessi obblighi e vincoli vigenti per le banche significan". Insomma, vi è molto da rivedere e non per obbedire a interessi corporativi o nazionali. Si porrà, pure, come suggerisce questo trentennale, l'avvio di una revisione del Testo unico bancario del 1993, tenendo conto della complessa, spesso disordinata, confusa, caratterizzata da superfetazione e sovrapposizione, normativa europea.

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