(da Milano Finanza)

Il nuovo dipartimento del Mef Economia e finanza, Marcello Sala, ha il compito di verificare la cedibilità di diverse partecipazioni dello stato, da Ita-Airways a Ferrovie a Mps. Ma 20 miliardi sono una goccia nel mare del debito. Si proceda invece con determinazione sulla via delle cessioni di immobili dello Stato

Al ministero dell?economia è operativo da poco tempo un nuovo dipartimento dal nome molto significativo, Economia e finanza. Lo ha voluto il ministro Giancarlo Giorgetti e lo ha affidato a Marcello Sala, un uomo di vasta esperienza e importanti relazioni nel campo della finanza e dell?economia; a cominciare dal solido legame con il fondatore di Intesa Sanpaolo insieme a Giovanni Bazoli, l?ex-senatore dc e fino a pochi anni fa presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti. Sala per altro, con mirabile abilità è sempre stato più che in ottimi rapporti con la Lega e il suo fondatore, Umberto Bossi. Insomma, un robusto professionista padano. A Sala, Giorgetti ha affidato il compito di realizzare la privatizzazione di aziende controllate dallo stato, come Tim, Ita-Airways (già promessa sposa a Lufthansa), un pezzo di Ferrovie dello stato e il Monte dei paschi di Siena, ormai per tutti Mps. L?obiettivo previsto dai piani di bilancio dello stato è di incassare una ventina di miliardi. Non sono pochi, ma non bastano e soprattutto replicano in parte un copione, quello che portò alla vendita-svendita di attività in larga parte fondamentali per uno stato moderno. Fu la stagione delle privatizzazioni per poter far entrare la lira nell?euro, obiettivo assoluto dell?allora presidente del consiglio Romano Prodi. Il risultato, allora, fu il disastro di Stet-Sip nella quale lo stato è poi rientrato con Cdp e ora si è impegnato con altri capitali. Per carità, la gestione dei telefoni in quanto tali in quasi tutti i paesi è privata, ma ciò in cui uno stato moderno non può non essere presente è l?infrastruttura. E su questo, sia pure lasciando la maggioranza a Kkr, il ministro Giorgetti sembra deciso a far tenere alla mano pubblica almeno il 30%. Per quanto riguarda Ita Airways, c?è da valutare se è meglio diventare un pezzo di Lufthansa o ritornare all?ipotesi Aponte, per un sistema nazionale integrato merci e passeggeri via area e via mare. Per le Ferrovie dello stato, se per privatizzazione si intende cedere una minoranza a chi possa apportare non solo soldi ma competenza, appare più che razionale.

La privatizzazione di Mps

La privatizzazione su cui non ci possono essere dubbi che vada fatta è quella di Mps, poiché, fra l?altro, c?è un impegno preciso verso la Ue, assunto al momento del salvataggio della banca senese. Ed è doveroso dire che l?Italia dovrebbe fare un monumento a Luigi Lovaglio e al suo braccio destro Maurizio Bai, che pur potendo contare su alcuni recuperi fatti dai predecessori, in poco più di un anno hanno riportato la banca a un?efficienza rara e a una capitalizzazione che è passata da 150 milioni a oltre 3 miliardi. È vero che lo stato ha versato recentemente 3 miliardi, ma quelli versati in precedenza erano andati in fumo.

Mps è probabilmente la più antica banca del mondo ancora attiva. Un fenomeno unico, essendo espressione di una città con una grande storia ma di piccole dimensioni. Per secoli, la comunità senese ha saputo esprimere e selezionare vertici preparati e saggi. Negli ultimi decenni uomini come Carlo Zini e Divo Gronchi che si erano alternati ai vertici della direzione generale avevano saputo contemperare gli interessi della città e dei cittadini (non c?era praticamente famiglia che non avesse un componete impiegato nella banca) con quelli della solidità e funzionalità del Monte. Il grande cambiamento è avvenuto quando è cominciata la stagione delle fusioni fra banche pubbliche e anche fra banche popolari. Nel programma di privatizzazione della Bnl, la banca più diretta dello stato, il governatore Antonio Fazio auspicava la fusione con Mps, che era controllata dalla nuova fondazione, il primo passo verso il mercato.

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Presidente della fondazione era l?avvocato penalista di origine calabrese, Giuseppe Mussari che con il sindaco Pierluigi Piccini la pensava in maniera assolutamente diversa, perché ritenevano che con la fusione Siena avrebbe perso il controllo della sua banca. Il compromesso fu trovato con la trasformazione di parte delle azioni possedute dalla Fondazione Mps nella banca in azioni privilegiate, cioè con diritto di voto limitato, in modo che l?istituto apparisse contenibile, in una logica di esaltazione del mercato. Ci fu un duro scontro, alla fine del quale sia Mussari che il sindaco Piccini decisero di rilanciare, cioè di fare il disastroso acquisto della Banca Antonveneta, che l?ex-braccio destro di Michele Sindona, Silvano Pontello, era riuscito a valorizzare e a venderla con grande profitto di industriali e industrialotti veneti agli spagnoli del Santander. La brama di Siena di portare il Monte a una dimensione da grande banca forte anche nel Nord est, permise alla banca spagnola di fare un guadagno stellare. Il cui opposto fu la messa in crisi di Mps, intorno al quale allora, Mussari, passato alla presidenza della banca, cominciò a far lavorare specialisti dei derivati e dei prodotti sintetici per far fronte all?esborso.

In questo contesto ha dovuto adeguarsi anche Antonio Vigni, un allievo di Gronchi e Zini, per natura molto prudente ma da direttore generale inevitabilmente destinato a eseguire le operazioni decise dall?ambizione dei vertici della città. Il crollo è storia ben nota. Come anche i duri anni di perdite e di processi con l?incriminazione e il carcere del penalista Mussari e del bravo Vigni. Insieme al risorgimento determinato dall?arrivo di Lovaglio, che ha trovato una colonna fondamentale nello storico direttore commerciale Bai, è arrivata finalmente l?opportunità per lo stato di rientrare dei capitali immessi per il salvataggio e possibilmente guadagnarci.

Il ministro Giorgetti ha fissato che la privatizzazione avvenga nel 2024. Sarà molto importante vedere se prevarrà la logica delle fusioni, oppure se si vorrà salvare la territorialità del Monte, che è sì presente in tutt?Italia proprio per le ambizioni degli ultimi capi di Siena, ma ha la sua forza e la sua funzione essenziale nelle economie di alcune regioni, in primo luogo la Toscana. Il ministro Giorgetti e il governo dovranno quindi valutare se mirare alla dimensione o alla qualità territoriale insita nella storia secolare del Monte. In fin dei conti, è stata proprio l?ambizione del sindaco di Siena, pro-tempore anch?egli dipendente della banca, e dei maggiorenti politici di origine Pci della città del Palio a portare la banca quasi alla dissoluzione. La conoscenza del tessuto economico del territorio per il buon lavoro e buon andamento della banca è fondamentale, mentre con la sciagurata politica verso le banche popolari, che avevano (quelle che non avevano degenerato) il valore essenziale della cooperazione e appunto dell?impegno territoriale, sono diventate quasi orfane molte delle 200 mila pmi del paese, dalle quali nasce il 45% del pil nazionale. Sarà quindi opportuna una profonda riflessione su quale strada intraprendere per effettuare la privatizzazione di Mps.

Priorità numero uno: tagliare il debito

Ma il problema non è solo questo nel programma deciso dal ministro Giorgetti e affidato alla gestione del super qualificato Sala. Il problema vero è che con un obbiettivo di incassare dalle privatizzazioni programmate una ventina di miliardi, si fa solo il solletico al debito pubblico che giustamente è l?angoscia del ministro Giorgetti, ma che deve esserlo anche di tutti gli italiani.

Qui, Signor Ministro, scusandomi per la noiosa ripetitività, va dato al debito un taglio così netto e consistente per cui guerre, inflazione, recessione, tutte possibili davanti a noi, non mettano in ginocchio il paese. In fin dei conti privatizzando Tim, Ita-Airways, un pezzo di ferrovie e lo stesso Mps, si privatizzano strumenti preziosi anche per la capacità di operare di un governo, visto che la stagione delle privatizzazioni spinte al massimo, anche in altri paesi, ha soprattutto ingrassato i banchieri d?affari. Certe leve operative in mano allo stato e al governo non tolgono niente a una economia capitalistica e alla proprietà privata, che nessuno si sogna di mettere in discussione specialmente su questo giornale. Ci mancherebbe. Del resto, anche la raccolta, privatizzando quello che non indebolisce troppo lo stato nelle funzioni essenziali, è davvero modesta e insignificante rispetto all?enorme debito accumulato dall?Italia come nessun altro paese fondatore dell?Unione europea. Ed è quel debito che mette costantemente in difficoltà i governanti italiani rispetto alle regole e alle autorità europee. Non pensa, Signor Ministro, che gli italiani si siano stancati di essere considerati degli sperperatori, quando in effetti sono il popolo che risparmia di più al mondo dopo i giapponesi e che vede andare, per circa il 70%, il proprio risparmio affidato a fondi e gestioni, a finanziare le economie di altri paesi, visto che in Italia non esiste un vero mercato dei capitali, una borsa che sia a un tempo sistema per la raccolta dei grandi gruppi ma soprattutto per il finanziamento e quindi lo sviluppo delle 200 mila pmi che sono a un tempo la ricchezza e la debolezza dell?Italia?

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E il contributo alle pmi per quotarsi?

A questo giornale, che ha la missione essere il giornale dei mercati finanziari, corre l?obbligo di ricordarle, per esempio, che dai provvedimenti finanziari che Lei sta varando è, guarda caso, saltato quel minimo contributo per spingere le pmi a quotarsi, cioè il contributo alle spese di quotazione. Ma qui siamo proprio ai de minimis e chi lavora perché le pmi quotate non siano che una piccolissima percentuale di quell?esercito di 200 mila imprese, familiari e non, che tengono in piedi il Paese, mi dice che probabilmente l?errore sarà presto sanato e il contributo ci sarà. Ma il fatto vero è che con l?adesione a Euronext il Paese ha fatto un passo indietro, perché si fregiano del termine euro (quindi Europa) borse come quella di Amsterdam che principalmente, anche se non solo, per trattamento fiscale e di governance, stanno attirando le poche grandi aziende italiane. È ora che di questa realtà si prenda coscienza e che si ricordino le parole di un uomo della competenza e della saggezza del presidente della Consob, Paolo Savona, quando diede l?avviso al momento della proposta di Euronext: Attenzione, disse, si può tentare una borsa europea ma in essa l?Italia deve contare per quella che è la sua economia, cioè la terza della Ue. Chi mena la danza in Euronext pensa di aver assolto i suoi obblighi verso il terzo paese dell?Unione assegnando all?Italia il centro di elaborazione digitale del mercato. Ma qui ci vuole una parità di trattamento sia per le aziende quotate che per chi investe. Ci sarà stata una ragione perché il mercato borsistico della prima economia europea, Francoforte, si è tenuto alla larga da Euronext.

La proposta di Carlo Messina

Ma l?Italia è debole in Europa perché ha il debito più grande e non riesce altro che a negoziare un po? di comprensione se non di compassione a Bruxelles. Allora, Signor Ministro Giorgetti, la stagione delle privatizzazioni non può mirare a tagliare il debito di 20 miliardi su quasi ormai 3 mila. E soprattutto non si può pensare di privatizzare ciò che è strumento di governo. Lo sa bene, l?alternativa c?è ed è tutta nell?interesse dello stato, degli enti locali e degli italiani. Degli immobili trasferiti dallo stato agli enti locali per un valore di circa 700 miliardi, ce ne sono per un valore di almeno 300 miliardi pressoché inutilizzati se non abbandonati e che per gli enti locali sono principalmente un costo. Bene, c?è la possibilità di rendere attivi quegli immobili e attraverso fondi di investimento a base locale, come suggerisce il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, ma da anni anche questo giornale, per collocarli fra i risparmiatori italiani, riducendo significativamente la dipartita per economie estere il grande risparmio italiano. Ma da un po? di tempo non c?è solo Carlo Messina, che ha dichiarato di mettere a disposizione la grande rete della banca per collocare le quote dei fondi; non c?è solo questo giornale che La importuna una settimana sì e una sì; c?è anche una manager del suo ministero, l?ad di Invimit, Giovanna Dalla Posta, che Lei, Ministro, stima molto, perché la signora degli immobili dello stato ha mostrato che con essi lo stato può incassare. I quasi 500 milioni di utile dell?ultimo esercizio lo dimostrano. Quindi ci sono immobili dello stato che possono essere valorizzati ma ci sono almeno altri 300 miliardi passati agli enti locali che possono essere inseriti in fondi, ristrutturati, valorizzati e i relativi incassi usati per abbattere il debito pubblico, al quale il debito degli enti locali concorre per quasi 700 miliardi. Si immagini, Signor Ministro, la faccia dei gufi di Bruxelles se venisse attuato questo programma. E questo programma è validato dal primo banchiere italiano e dalla più brava manager per immobili che lavora nel suo ministero. Modesta proposta: perché non affida al nuovo dipartimento Economia e finanza, guidato dal più che preparato Marcello Sala, l?incarico di preparare con la privatizzazione degli immobili passati dallo stato a comuni, regioni, città metropolitane (che potrebbero conservare quote nei fondi), il grande taglio del debito pubblico? L?opportunità è lì, da prendere. Al punto in cui si è sul piano finanziario e della sicura pressione che faranno le agenzie di rating e i mercati, l?Italia ha la possibilità di spiazzare il resto d?Europa. (riproduzione riservata) (Milano Finanza)

 

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October 21, 2023 01:27 ET (05:27 GMT)

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