Se l'Italia è ancora molto lontana da una parità di genere nella vita di tutti i giorni come nei posti che contano e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella non fa che ripeterlo, basta alzare lo sguardo oltre le Alpi per scoprire che siamo un piccolo mondo antico e retrogrado. In Germania già ci si preoccupa per la prossima uscita di scena della cancelliera Angela Merkel, un pezzo di storia tedesca che cammina. A Francoforte Christine Lagarde, dopo alcune incertezze iniziali, ha proseguito al vertice della Bce l'opera di sostegno all'economia intrapresa da Mario Draghi. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, ha promosso il grande piano Marshall europeo post-Covid del Next Generation Eu in mezzo a mille difficoltà legate agli interessi nazionali e all'iniziale passo falso sui vaccini. E Margrethe Vestager, potente vicepresidente esecutivo del governo comunitario nel suo secondo mandato all'Antitrust e con delega per un'Europa pronta per la Digital Age (che è già un chiaro programma), continua ad essere la persona più temuta (a ragione) dentro e fuori la Silicon Valley. Basta scrutare i profondi occhi azzurri -come la bandiera stellata dell'Unione- di questa politica danese nata a un pugno di giorni dal maggio parigino per capirne la determinazione che ha messo e metterà nel combattere i nuovi monopoli digitali. Una sfida decisiva, per l'economia ma anche per le democrazie. In questa lunga intervista esclusiva a MF-Milano Finanza, la lady di ferro della concorrenza racconta con chiarezza cosa farà l'Europa per impedire una deriva molto rischiosa degli over the top, che si chiamino Google, Facebook, Apple, Microsoft, Amazon poco importa. Non c'è più tempo da perdere, denunciano i governi, ma Vestager rassicura: «Le big tech non sono ormai troppo grandi e potenti per essere regolate». Una frase che è già un manifesto, visto che la Commissione venerdì 4 giugno ha annunciato di aver aperto un'indagine su Facebook per abuso di posizione dominante nel mercato pubblicitario.

Domanda. Vicepresidente Vestager, nel corso della pandemia le big tech, Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft, sono diventate ancor più grandi e si sono rivelate essenziali per il funzionamento delle economie. Non teme che siano troppo potenti anche per leggi e autorità antitrust?

Risposta. Non credo che le big tech, questi over the top, siano ormai troppo grandi e potenti per essere regolate e anzi è proprio quello che ci apprestiamo a fare con il Digital Services Act e il Digital Market Act. I due regolamenti hanno come primario obiettivo imporre doveri alle grandi e soprattutto alle grandissime società senza appesantire gli oneri sulle piccole e medie imprese. Ovviamente non è vietato a un'impresa avere successo in Europa, anzi.

D. Però ci sono dei limiti che i gatekeepers -gli over the top che con le loro piattaforme digitali sovrintendono all'ingresso della Rete- non possono superare.

R. Sì. Dal successo e dal potere che a esso si accompagna derivano responsabilità: non sempre le big tech ne sono state all'altezza, come dimostrano molti casi antitrust da noi conclusi. Abbiamo così deciso di introdurre doveri e divieti che si applicheranno sin da principio alle società designate gatekeeper (appunto i guardiani delle porte di internet, ndr).

D. Come potrete assicurare questa svolta concorrenziale?

R. Proprio stabilire l'identità dei gatekeepers aprirà il mercato e lo renderà contendibile, assicurando che tutti possano dare il loro contributo al prossimo capitolo della digitalizzazione che sarà diverso dal primo, dominato da search, marketplaces e social media. Ora tutto si digitalizzerà: energia, agricoltura, manifattura, salute, mobilità, educazione. Stiamo assistendo a una sorta di industrializzazione della digitalizzazione.

D. Un passaggio epocale con molti rischi per le economie tradizionali...

R. L'Europa ha tradizione imprenditoriale e cultura industriale e questo ovviamente è molto importante. Altrettanto fondamentale è che nulla blocchi la creazione di nuove idee imprenditoriali e di nuovi business model e che quindi l'enorme potenziale europeo possa trasformarsi in grandissime aziende.

D. Basterà contro Google & C, che sembrano talmente forti dall'essere al di sopra non solo della Rete ma anche di qualsiasi legge e regolamento? L'industria europea pare però aver ormai perso il treno della digitalizzazione. Si può recuperare il ritardo con i regolamenti?

R. Abbiamo adottato un approccio two-sided. Vi spiego: c'è un nuovo regolamento che assegna nuove responsabilità alle big tech e rende più chiaro cosa le grandi piattaforme dovranno e non dovranno fare. D'altra parte, vogliamo far sì che in questa nuova fase le aziende europee possano disporre di quadri regolatori, infrastrutture e capitali funzionali all'innovazione.

D. Che ruolo dovranno avere gli Stati in questa nuova era della digitalizzazione?

R. In Europa abbiamo settori pubblici grandi e l'e-government rientra nel nostro ambito di applicazione. È importante che l'amministrazione si digitalizzi sia per offrire migliori servizi ai cittadini, sia per spronare attraverso la domanda i fornitori dello Stato a digitalizzarsi a loro volta. Il piano per la ripresa dell'Europa può fornire capitali per questo processo, specie quando si tratta di imprese medie e piccole che altrimenti avrebbero difficoltà a sostenere gli investimenti necessari a prendere parte con profitto a questa nuova fase della digitalizzazione.

D. L'europarlamentare tedesco Andreas Schwab ha chiesto di concentrare gli sforzi antitrust solo sulle cinque big tech americane. C'è il rischio di aggravi burocratici per le piccole e medie imprese europee?

R. Per tener conto delle differenze dimensionali fra le aziende abbiamo adottato un approccio asimmetrico, imponendo obblighi alle più grandi al preciso scopo di salvaguardare la concorrenza. Nella loro essenza i due regolamenti mirano infatti a sviluppare il mercato digitale europeo e migliorare l'accesso ai capitali per le piccole e medie imprese. Ovviamente siamo aperti al dibattito, ma non ricordo che in fase di discussione gli Stati membri abbiano suggerito un ambito di applicazione più restrittivo per i nuovi regolamenti.

D. Che futuro abbiamo di fronte?

R. Nei prossimi 10 anni, credo, saranno anche diversi i soggetti a trarre il maggior profitto dalla industrializzazione della digitalizzazione. In questo momento di svolta è perciò cruciale che nulla ostacoli l'innovazione che è sempre il frutto della concorrenza.

D. In questo momento è più importante predisporre un quadro normativo in grado di stimolare la concorrenza oppure un'azione sanzionatoria efficace contro le violazioni della disciplina antitrust?

R. Le due cose devono andare di pari passo, l'una ha bisogno dell'altra e viceversa. Nel corso del mio precedente mandato alla DG Competition della Commissione europea mi sono resa conto che era necessario aggiornare la regolamentazione per introdurre rimedi ex ante in grado di stabilire dal principio comportamenti richiesti e vietati ai gatekeeper. L'azione antitrust diventa così più prevedibile, rapida e quindi efficace senza perciò escludere il ricorso all'attività sanzionatoria ed esecutiva.

D. Per frenare questo predominio pare di capire che l'azione Antitrust resta fondamentale.

R. Sì. Abbiamo bisogno ancora dell'enforcement Antitrust. Avendo lavorato per alcuni anni in questo campo posso dire che alle grandi multinazionali non manca certo la creatività quando si tratta di far valere il proprio predominio.

D. Germania, Francia e Olanda hanno chiesto alla Commissione un'azione più decisa contro le acquisizioni di startup concluse al solo scopo di soffocare la nascente concorrenza. Che iniziative intendete prendere contro le cosiddette killer acquisitions?

R. Abbiamo studiato a lungo la questione delle killer acquisitions alla ricerca di una soluzione che ci permetta di esaminare operazioni al di sotto della soglia di fatturato rilevante ma strategiche. Bisogna stare però attenti a distinguere. Ci sono imprenditori seriali il cui business model è precisamente creare e vendere aziende e non c'è ragione di impedirlo. Ci sono invece startup che aspirano a diventare la next big thing (Vestager si riferisce a possibili futuri nuovi grandi operatori industriali, ndr) e che quindi potrebbero esser comprate al solo fine di uccidere la concorrenza. Vogliamo esser sicuri di vedere questi casi dove è in gioco il futuro della concorrenza.

D. Come?

R. Lavoriamo a stretto contatto con le Autorità Antitrust nazionali affinché ci sottopongano operazioni che hanno le caratteristiche delle killer acquisitions. Questa collaborazione è fondamentale per una conoscenza «sul campo» ed è già attiva. Tramite il sistema di rinvio dagli Stati Membri (la Commissione Europea, laddove consideri un caso di rilevanza comunitaria, può avocare a sé le indagini delle autorità antitrust nazionali, ndr) sono già stati sottoposti all'attenzione della Commissione due casi che verranno decisi nei prossimi mesi.

D. A volte sembra che i tempi della legge non riescano a tenere il passo con l'impetuosa evoluzione tecnologica. I rimedi ex ante previsti nel Digital market Act potranno colmare questa divario?

R. I processi regolamentari richiedono ovviamente tempo perché non si possono accettare compromessi sulla qualità legislativa o delle indagini. Ciononostante, abbiamo velocizzato la nostra azione. Nel caso relativo al marketplace di Amazon abbiamo raggiunto le prime conclusioni in meno di un anno così come nel caso relativo ai servizi di streaming musicale di Apple. Quando il Digital Market Act (Dma) sarà approvato e applicabile credo però che potremmo accelerare ancora.

D. In che modo?

R. La designazione delle aziende gatekeeper sarà il punto di svolta. L'accertamento della posizione dominante di una piattaforma è indispensabile per applicare divieti e obblighi di comportamento, ma richiede molto tempo. Nel caso di Apple, per esempio, abbiamo dovuto provare che la società, nonostante controlli «soltanto» il 30% del mercato smartphone europeo, ha un monopolio sugli app store rispetto ai possessori di iPhone. Il Dma ci permetterà di saltare questo passaggio perché assegna sin dall'inizio doveri e proibizioni per i gatekeeper, cioè per i big tech che risulteranno dominanti.

D. L'applicazione delle leggi antitrust presuppone l'identificazione di un danno per i consumatori, perlopiù in termini di aumento dei prezzi. Le big tech, o overt the top che dir si voglia, offrono però soprattutto servizi gratuiti, almeno in apparenza. Non crede sia ora di aggiornare i principi antitrust per tener conto delle evoluzioni del mercato?

R. I comportamenti anti-concorrenziali delle grandi piattaforme ostacolano lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi o più economici da parte dei competitor, causando alla fine un danno ai consumatori. Apple, per esempio, impone una commissione del 30% sugli abbonamenti alle app di streaming musicale sottoscritti tramite l'App Store degli iPhone e impedisce a questi sviluppatori di entrare in contatto diretto con i clienti per offrire loro alternative più economiche. La combinazione di questi due fattori rende molto più difficile per Spotify, Deezer e altre app affermarsi come concorrenti reali di Apple Music e non solo perché i loro prodotti sono il 30% più cari. Se non puoi avere il controllo del rapporto con i clienti attuali e potenziali, chi avrà interesse a investire nella tua innovazione?

D. Come il Digital Market Act cambierà questa situazione?,

R. Quando entrerà in vigore, il Digital Market Act imporrà l'obbligo di ospitare più app store sugli smartphone, spezzando questo monopolio e moltiplicando l'offerta per i consumatori. Io vivo a Bruxelles e se non sono contenta dei prezzi dei supermercati Delhaize posso andare al Carrefour. Un consumatore insoddisfatto dei prezzi dell'App Store non ha altro negoziante online a cui rivolgersi.

D. Avete mai pensato di procedere allo spezzatino delle big tech? Nel caso avreste gli strumenti per farlo?

R. La Commissione Europea dispone di strumenti legali per procedere al break-up (spezzatino appunto, ndr) se accerta che la distorsione del mercato è grave e non esistono altri rimedi efficaci per ripristinare la concorrenza. Consapevoli di quali obiettivi vogliamo raggiungere e in che tempi, però, abbiamo optato per un'altra strategia con Digital Market Act e Digital Service Act: sappiamo cosa vogliamo ottenere e pensiamo che possiamo ottenerlo abbastanza velocemente. Imporre invece a una società di disinvestire da un business è una decisione davvero di vasta portata, che inevitabilmente porterebbe a un ricorso d'urgenza alla Corte Ue da parte della compagnia interessata, volto a bloccare la misura. E ritengo, ma questa è mera speculazione, che la Corte sarebbe piuttosto disponibile ad accogliere simile istanza alla luce delle conseguenze dirompenti e ineliminabili di un disinvestimento. Si rischierebbe così di bloccare ogni iniziativa in attesa della definizione di un lungo giudizio, mentre noi non possiamo permetterci di aspettare: il mercato deve esser aperto ora che stiamo entrando in questa fase industriale della digitalizzazione. È per questo che sto cercando di instillare un senso di urgenza in tutti gli attori coinvolti nel processo legislativo e di innovazione.

D. Non temete che la proposta di Regolamento sugli over the top (il Dma), contro le distorsioni causate dai sussidi pubblici stranieri possa scoraggiare gli investimenti esteri in Europa proprio quando le imprese hanno più bisogno di risorse per crescere e innovare?

R. Gli investimenti diretti esteri sono più che benvenuti in Europa che ne è già prima destinazione al mondo. Il nuovo regolamento non intende scoraggiarli, ma ristabilire condizioni di equità nella concorrenza. I Paesi membri dell'Unione Europea e le imprese che vi hanno sede hanno accettato ormai da 60 anni di sottoporsi a regole e controlli sugli aiuti di Stato per evitare frammentazioni e squilibri nel mercato interno. Non devono perciò subire la concorrenza sleale di aziende straniere che utilizzano sussidi statali per effettuare acquisizioni o aggiudicarsi bandi pubblici in Europa. È una situazione più comune di quanto si pensi: il regolamento affronta quindi il pericolo reale che si creino squilibri nel campo di gioco dell'Unione europea.

D. Qual è il suo giudizio sulla proposta dell'amministrazione Biden di una tassa minima globale sulle multinazionali? Rafforzerà anche la concorrenza?

R. L'idea di pagare le tasse dove si produce valore e di un'aliquota minima globale è senza dubbio una svolta e risponde a esigenze ineludibili di equità e giustizia fiscale. Il giudizio definitivo dipende però da come verrà disegnata la base imponibile: se è ridotta si pagano poche tasse anche con aliquote alte; se invece è ampia si pagano molte imposte anche con aliquote basse. Staremo a vedere, come dicono in Regno Unito «the proof of the pudding is in the eating» (provare per credere, ndr). Se si raggiungerà un compromesso soddisfacente, proseguiremo con la tassa digitale che è parte del piano di finanziamento del piano di rilancio europeo, ma terremo conto dell'imposta minima globale nel calibrarla.

D. A proposito di Next Generation Eu: uno degli obiettivi del piano di rilancio è creare dei campioni europei in grado di competere alla pari con i concorrenti cinesi e americani. Questo fine cambierà il vostro approccio alle operazioni di concentrazione in Europa?

R. Il nostro punto di riferimento restano sempre i consumatori e la loro possibilità di scelta: esiste un'alternativa per il bene o il servizio se i prezzi salgono? Questo ci permette un giudizio dinamico e attinente alla realtà quotidiana: se come sembra i consumatori percepiranno sempre più di muoversi in un mercato globale, ci regoleremo di conseguenza. Resta il fatto che un'impresa può essere grande e anche fondersi con un'altra per diventare ancora più grande, ma non deve mai essere senza rivali: la sfida della concorrenza è lo stimolo necessario a migliorare continuamente prodotti e servizi e a offrirli ai migliori prezzi possibili ai propri consumatori, che siano persone fisiche o imprese.

D. Un'ultima domanda: cosa ne pensa del progetto Superlega immaginato da alcuni club europei?

R. Non mi intendo molto di calcio, ma tendo a pensare che per costruire una Lega servono dei club e al momento questo requisito manca.

Il tempo concesso per l'intervista è finito. Margrethe Vestager sorride, beve un sorso di una bibita la cui marca è debitamente nascosta, e saluta. Si prepara a una nuova, piena giornata di lavoro. La concorrenza leale è un principio di democrazia economica che va garantito sempre, senza abbassare la guardia.

fch

 

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June 07, 2021 02:12 ET (06:12 GMT)

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