Ieri Piazza Affari ha vissuto una giornata al cardiopalma, con la crisi di governo e le dimissioni (poi respinte al mittente) del premier, Mario Draghi, che hanno affossato il Ftse Mib. Le vendite si sono concentrate sulle banche, mentre l'euro ha rotto la parità sul dollaro dopo vent'anni e lo spread Btp-Bund si è ulteriormente ampliato. Tra gli istituti di credito più bersagliati dalle vendite, Montepaschi ha perso il 7%, Bper e Unicredit il 6%, Intesa Sanpaolo il 5,5%, Banco Bpm il 5,3%. Alla fine della seduta l'indice principale della borsa di Milano ha ceduto il 3,44% a quota 20.550, in calo del 25% da inizio anno. In una sola giornata il Ftse Mib ha perso 20 miliardi di capitalizzazione.

Il Btp decennale, scrive MF-Milano Finanza, partito in mattinata con un rendimento del 3,14%, ha chiuso al 3,3% con lo spread balzato a 222 punti. Nel frattempo anche Wall Street ha vissuto una sessione difficile, con il Nasdaq in calo dello 0,5% e l'indice S&P 500 dello 0,8% per paura di una Federal Reserve troppo aggressiva e di una conseguente recessione negli Usa dietro l'angolo. Il sentiment generale non ha trovato conforto neppure con l'avvio della stagione delle trimestrali negli Stati Uniti, dove JP Morgan e Morgan Stanley (si veda articolo sotto) hanno registrato profitti sotto le attese degli analisti.

Dieci anni fa il whatever it takes. Dopo un confronto con il M5S ieri Draghi è salito al Colle dal presidente Sergio Mattarella per presentare le dimissioni da premier, dimissioni poi respinte dal capo dello Stato. E pensare che dieci anni fa, il 26 luglio 2012, Draghi, allora governatore della Bce, pronunciò la famosa frase «Whatever it takes» per salvare l'euro e il debito pubblico italiano preso di mira da ondate di vendita sui mercati nell'ambito della crisi del debito sovrano europeo. Con questa espressione, divenuta ormai iconica, Draghi voleva indicare che la Banca Centrale Europea avrebbe fatto tutto il necessario per salvare la valuta comune da eventuali processi di speculazione. Nelle prossime ore tuttavia, con il passo indietro del banchiere italiano dalla guida dell'esecutivo, Btp ed euro presteranno inevitabilmente il fianco alla volatilità.

Ieri l'euro ha cercato nel finale di recuperare terreno a 1,001, appena sopra la parità, mentre l'indice sul dollaro ha confermato la sua forza (+1% a 109) ai massimi degli ultimi 20 anni sulla scommessa che la Fed il 26-27 luglio alzerà i tassi di 100 punti base, mentre l'Europa si conferma fragile a causa della dipendenza energetica dalla Russia. La crisi del governo di Mario Draghi, in sella da 17 mesi, si innesta all'interno di una complicata situazione geopolitica. Al centro, l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio scorso, una guerra in Europa che per ora non pare volersi concludere. Nona a caso la vera valuta forte in questo momento non è il dollaro, bensì il rublo: il biglietto verde, a quota 58,2, ha perso il 21,5% negli ultimi dodici mesi contro la valuta di Mosca.

La crisi europea del gas. Fino al 21 luglio il gasdotto Nord Stream 1 che collega la Russia all'Europa sarà chiuso per manutenzioni, i mercati temono da tempo che il 22 luglio non verranno ripristinati i flussi di gas. Se il Ftse Mib ha perso il 25% da gennaio, il Dax in Germania non va molto meglio, è in rosso per oltre il 21%. La locomotiva d'Europa è in difficoltà, il che mette sotto pressione l'euro. La crisi poi all'interno del governo italiano non fa che acuire la situazione.È chiaro che il differenziale dei tassi fra Europa (ancora al -0,5% in attesa che Bce il 21 luglio alzi il costo del denaro di 0,25%) e gli Usa (all'1,5%-1,75%, dovrebbero salire entro fine mese di 75 se non 100 punti, sarebbe l'aumento più consistente dagli anni '90) si fa sentire in maniera chiara nella forza del dollaro, anche come valuta rifugio nei momenti di stress delle borse. Basti pensare che il biglietto verde è a quota 139 sullo yen, livello che non vedeva dal 1998.

mcn

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MF-DJ NEWS

1508:38 lug 2022

 

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